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Definizione
La pet therapy è quell’azione di supporto effettuata
in campo sociale e/o medico diretta a migliorare la qualità
di vita dell'uomo, svolta in collaborazione con un animale domestico.
L'azione di quest’ultimo può essere di presenza, di
interazione, di servizio.
Questa
tecnica si basa su un’interazione tra animali e persone con
disagio fisico o psichico, mirata da un lato di migliorare la loro
qualità di vita e dall'altro a proporsi come terapia aggiuntiva
da affiancare alle cure già previste.
Attualmente, viene definita con la sigla AAA/T Attività e
Terapie Assistite con Animali.
Lo sviluppo dei benefici scaturiti dall'attaccamento tra l'uomo
ed il cane è una delle ultime scoperte scientifiche che conferma
la validità e l'efficacia di questa coterapia.
Per quali disturbi viene utilizzata?
E' una forma di ausilio che si sta imponendo sempre più per
la coterapia di patologie quali l'autismo, i disturbi comportamentali,
le sindromi depressive e le disabilità, nelle quali ci si
avvale della collaborazione di animali da compagnia opportunamente
selezionati.
Attualmente la pet-therapy viene utilizzata anche per intervenire
sul rapporto tra i padroni di cani in difficoltà e sui rispettivi
animali, nel caso in cui questi ultimi manifestino un comportamento
alterato da correggere. Ad esempio, il cane che ad un tratto decide
di essere lui il capo di casa, stabilendo a che ora ci si sveglia,
quando si passeggia, quando si mangia; oppure quello che ha disturbi
di panico, fobie o vere e proprie 'sociopatie' (carattere asociale,
introverso, diffidente, ecc.) necessita di un addestramento. Quest’ultimo
-per intendersi- insegna al cane a non tirare, a sedersi, ad aspettare
e così via e si basa su una terapia comportamentale della
quale sfrutta il principio del condizionamento.
La
''terapia dell'insuccesso'', ad esempio, offre buoni risultati già
dopo due o tre sedute, meglio se seguite in compagnia del padrone.
Funziona in questo modo: si mette del cibo per terra ed anche il
proprietario dell'animale si siede per terra; appena il cane si
avventa sul bocconcino, questo gli viene tolto e, contemporaneamente,
parte un segnale sonoro facilmente riconoscibile. L'operazione viene
ripetuta più volte, con l'ausilio di uno strumento acustico
particolare, finché il cane risulta scoraggiato e demotivato
nel buttarsi sul mangiare e appare incerto sul da farsi: a quel
punto viene orientato verso un comportamento più tollerabile;
il quadrupede è stato dunque “condizionato”.
Quali animali vengono utilizzati per questa terapia?
Finora la pet therapy è stata svolta con animali quali pesci,
tartarughe, conigli, cani, gatti, cavalli e delfini.
Con
cani e gatti le persone vengono coinvolte sia dal punto di vista
della socializzazione che da quello emotivo, affettivo, cognitivo
e motorio.
La selezione degli animali viene solitamente effettuata in base
alla specie, all’età e ad una attenta valutazione del
temperamento e dell'attitudine specifica dell’esemplare alla
terapia, oltre che alle sue condizioni sanitarie.
Kaplan utilizza conigli, ricci, cani, polli, capre e serpenti su
pazienti affetti da ritardo mentale. I serpenti ad esempio, fungevano
da veri e propri stimoli nella discussione delle varie paure e fobie,
del come affrontarle e superarle; per quanto riguarda i cani, invece,
l’effetto sembrava variare a seconda della razza, per cui
un cane pechinese stimolava nei pazienti (in particolare nei portatori
di handicap) una maggiore apertura emotiva e relazionale, mentre
un rottweiller avrà una minore influenza sulla socialità
rispetto al primo.
E’ stato inoltre osservato che i non vedenti accompagnati
dai cani, tendono a sviluppare una maggiore attenzione pubblica
rispetto a coloro che usufruiscono semplicemente del bastone.
I conigli invece, sembravano non stimolare particolarmente l’aspetto
relazionale.
Quali sono gli effetti del rapporto con gli animali che
sono considerati terapeutici per l’uomo?
Gli animali possono contribuire a ridurre l'ansia nell’uomo
ed a predisporre una stimolazione del sistema nervoso o, in altre
parole, abbassare lo stress, divenendo una fonte di contatto piacevole,
una visione rilassante ed una percezione di sicurezza e tranquillità.
(Friedmann & Thomas, 1985, Katcher & Friedmann, 1980).
La presenza di un animale può migliorare da un punto di vista
psicologico la vita dell’individuo, riducendone la solitudine
e la depressione ed agendo da supporto sociale. Può infatti
fornire maggiori stimoli alla cura di se stessi e rappresentare
una fonte di attività quotidiane significative.
Per comprendere meglio gli effetti della pet-therapy, bisogna risalire
alle origini di tale tecnica:
1792 - in Inghilterra, William Tuke, che si occupa di pazienti con
disturbi mentali, intuisce l'importanza della presenza degli animali
nelle strutture psichiatriche. Affidando infatti agli utenti la
cura di alcuni animali, registra dei miglioramenti nell'autocontrollo
e nei rapporti umani.
1875 - Il medico francese Chessigne prescrive l'equitazione per
pazienti con problemi neurologici per migliorare l'equilibrio ed
il controllo muscolare.
1953 Lo psicoterapeuta infantile Boris Levinson scopre fortuitamente
l'azione positiva della compagnia di un animale su un bambino con
comportamenti autistici ed inizia le prime ricerche sugli effetti
degli animali da compagnia in campo psichiatrico.
1977 Erika Friedman, ricercatrice americana, rivela addirittura
la presenza di una correlazione positiva tra la sopravvivenza di
persone che hanno superato un infarto cardiaco ed il possesso di
animali. Iniziano così le prime ricerche che verificano le
potenzialità del rapporto uomo-animale familiare nel ridurre
l'ipertensione e il rischio di infarto cardiaco.
Nel 1981 negli Stati Uniti d'America nasce la Delta Society, un
gruppo di volontari si organizza mettendo a disposizione il loro
amico animale per poter iniziare un lungo percorso che li porterà
a studiare e ad applicare questa nuova scienza chiamata "Pet
Therapy".
Ospedali, case di cura, carceri, comunità psichiatriche,
scuole, ecc. vengono frequentate da pet partners e dal loro animale,
al fine di sviluppare una maggiore socializzazione, un atteggiamento
meno aggressivo, di ridurre il vissuto depressivo, ecc.
Nel giugno dei 1994, il Centro di Collaborazione OMS/FAO per la
Sanità Pubblica Veterinaria di Roma interagendo con altre
strutture, organizza il 1° corso informativo di "Pet Therapy"
ed Ippoterapia.
Sono trascorsi ben tredici anni prima che anche in Italia si riconoscesse
la validità di tale intervento.
Due esempi di terapie con gli animali domestici: l’ippoterapia
e la delfinoterapia.
L’ippoterapia
L'ippoterapia viene riconosciuta ufficialmente dalla scienza medica
soltanto dopo la prima Guerra Mondiale. E’ un approccio globale
che pone le sue basi sull'interrelazione tra disabile, cavallo e
terapista, senza escludere a priori nessun tipo di handicap. Più
precisamente, si tratta di un complesso di tecniche rieducative
che permette di superare danni sensoriali, cognitivi e comportamentali
attraverso un'attività ludico-sportiva che si svolge a cavallo.
La riabilitazione equestre è indicata nel trattamento delle
più disparate patologie: dalle paralisi cerebrali infantili
a quelle conseguenti ad encefalopatie, poliomelite o ictus, dalle
lesioni midollari, dalla schizofrenia, all'autismo, alle psicosi
infantili, a vari disturbi sia del comportamento che dell'equilibrio.
La particolare andatura del cavallo infatti, oltre a rinforzare
e a migliorare la tonicità della muscolatura, rievoca la
cadenza umana, con grande beneficio per chi non è in grado
di camminare. La posizione assunta dal cavaliere in sella migliora
la postura, l’assetto scheletrico e l'equilibrio, e nei soggetti
spastici stimola il rilassamento degli arti. Oltre a favorire la
scioltezza e la coordinazione dei movimenti, condurre il cavallo
costringe il disabile a migliorare i tempi di attenzione e di reazione.
L'essere a contatto con un animale, per sua natura imprevedibile
e che reagisce soprattutto ai segnali inconsci di chi lo sta guidando,
stimola un serie di attività intellettive come concentrazione,
memoria, stabilità emotiva, tranquillità e fermezza
di carattere; ed è proprio attraverso la scoperta e lo sviluppo
di tali doti che il portatore di handicap, generalmente isolato
e poco responsabilizzato, riesce a migliorare il rapporto con se
stesso e con gli altri e soprattutto ad acquistare maggiore autonomia.
La cura del cavallo dopo la seduta, parte integrante di questa terapia,
sollecita movimenti finalizzati, migliora la coordinazione delle
mani e delle braccia, e permette al disabile, tramite un costante
rapportarsi all'animale, non solo di acquisire coscienza di se stesso
come realtà individuale, ma di appropriarsi anche del proprio
schema corporeo.
Un limite dell’ippoterapia potrebbe essere riscontrato nella
natura economica del programma, ma agendo con oculatezza e attenzione,
tale terapia non è poi così onerosa come potrebbe
sembrare.
La delfinoterapia
La delfino-terapia si basa sull'efficacia del rapporto uomo-delfino
nello stimolare l'attenzione di bambini ed adulti colpiti da turbe
dell'apprendimento, dell’affettività, del comportamento
e persino della coordinazione muscolare e del linguaggio.
Il contatto con l’animale servirebbe, altresì, a stimolare
la motivazione, l'aumento di fiducia, la capacità motoria
e comunicativa, quella di memorizzare e di elaborare concetti; risulta,
inoltre, molto adatto e funzionale per i soggetti affetti da sindrome
di Down, autismo, depressione e ritardo mentale.
David Nathanson, studioso dell'Ocean World Ft Lauderdale (Florida),
utilizza la comunicazione col delfino per stimolare i bambini Down,
sottolineando la priorità dell'attenzione sensoriale sull'apprendimento,
soprattutto per i ritardati mentali.
Impiegando delle tavole con immagini che venivano portate ai bambini
dai delfini, i primi erano tenuti a pronunciare e a ricordare le
parole collegate alle figure prima di passare alla fase successiva
del gioco, del contatto e del farsi portare in groppa, (quest'ultima
rappresentava la fase più divertente). Confrontando questo
metodo didattico con quello scolastico tradizionale, ricompensato
da baci ed elogi da parte del corpo docente, il primo è risultato
molto più efficace, poiché consentiva un apprendimento
tre volte più rapido ed una memorizzazione più efficace
che rendeva i delfini un supporto terapeutico insostituibile nell'implementare
la funzione cognitiva del ritardato mentale, facendo leva sull'eccezionale
intelligenza di questo cetaceo. Successive ricerche hanno evidenziato
l'apprendimento multi-modale del delfino ed il suo grado di capacita'
cognitiva, del tutto analoga a quella umana o per lo meno molto
più simile ad essa rispetto a quella di altre specie animali
come scimmie, cani, gatti, uccelli, ecc... Il delfino garantisce
inoltre una vasta gamma comportamentale senza richiedere eccessivi
rinforzi primari (quali la ricompensa del cibo), poiché è
il rapporto stesso con l'uomo a risultare gratificante per il mammifero.
La delfino-terapia realizza la sua efficacia anche grazie all'elemento
in cui agisce, ovvero l'acqua, così efficace nel ridurre
lo stress e la tensione, stimolando considerevolmente l'apprendimento.
L'acqua causerebbe, poi, un effetto di "feed-back cinestetico"
attraverso la sensazione ondulatoria che trasmette e l’incredibile
capacita' di diffondere delle onde sonore, garantendo un beneficio
fisico e psichico.
Da successive ricerche sulla terapia con i delfini si è riscontrato
un miglioramento della capacità di sostenere lo sguardo,
un implemento delle vocalizzazioni e della socializzazione. Dobbs,
invece, utilizza l'immersione coi delfini per agire su persone depresse,
anoressiche e paranoiche.
Tra i limiti di tale tecnica, oltre a quelli economici si aggiunge
il problema logistico ed il rischio di far contrarre infezioni ai
delfini a causa del contatto con l'uomo, venendo meno al rispetto
degli altri esseri.
Conclusioni
Sono sicuramente ancora molti gli orizzonti che la pet therapy potrà
aprire nel campo terapeutico-riabilitativo, così come molte
altre saranno le specie con le quali sarà possibile ed efficace
applicare tale metodo.
Oltre alle specie domestiche con cui finora è stata poco
applicata questa terapia o non lo è stata affatto (quali
ad esempio mucche, pecore o capre, la cui mungitura può offrire
una possibilità di contatto molto speciale per pazienti autistici
o con sindrome di Down), mi vengono in mente molte specie selvatiche
(quali elefanti, cervi, orsi, foche, elefanti marini, pinguini,
o cammelli) che, per le caratteristiche differenziate proprie di
ogni specie, consentono una varietà di stimolazioni tale
da offrire delle modalità di contatto, di relazione e di
apprendimento più efficaci rispetto a quelle di un classico
metodo scolastico.
Anche gli insetti (finora poco considerati per la terapia in questione
a causa dell’impossibilità di fornire piacevoli sensazioni
tattili), potrebbero invece offrire delle forti stimolazioni, in
particolare nella sfera cognitiva. La metamorfosi (come quella del
bruco in farfalla), la secrezione di particolari sostanze che contraddistingue
alcune specie (come quella della seta da parte del baco, delle ragnatele
o del miele da parte delle api) o ancora la realizzazione di alcuni
nidi o tane (come quella delle termiti), rappresentano delle occasioni
immediate, concrete ed al tempo stesso emozionanti di apprendimento,
soprattutto per soggetti con deficit in tale sfera.
Testi: Claudia Palermo (psicologa clinica ed
esperta in psicologia animale e comparata)
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